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LA STORIA - a cura di Pio Di Stefano
Rocca di Cambio è situato nella parte settentrionale dell'Altipiano delle Rocche, un vasto territorio ad una quota media di 1300 metri, delimitato dai massicci del Velino, del Sirente del Rotondo e del Cagno.
L'Altipiano, di origine carsica, risale alla fine del Miocene e si suddivide in due parti. Da un lato il piano settentrionale, le cui acque precipitano in alcuni inghiottitoi (doline carsiche) per poi riapparire nella grotta di Stiffe, in Comune di San Demetrio, nella Valle dell'Aterno, dopo un salto di circa 600 metri. Dall'altro lato vi è il piano meridionale, di dimensioni molto più ridotte, le cui acque attraverso la Valle d'Arano, tra Rovere ed Ovindoli, raggiungono il Fucino per poi proseguire verso il mare Tirreno.
Le notizie storiche su Rocca di Cambio e sul suo primo nucleo abitato sono scarse. Secondo taluni fonti è certo che il villaggio fosse situato dove ora si trova l'Abbazia di Santa Lucia cd i primi abitanti furono quasi certamente i pastori che in quella zona avevano scoperto ottimi pascoli e abbondanti acque per le loro greggi.
Altre notizie fanno risalire l'origine del paese tra il VI ed il IX secolo, allorché i Longobardi invasero la valle aquilana. Per altri ancora il primo nucleo si sarebbe formato nel 591 quando Ariulfo, Duca di Spoleto, assediò Forcona (Bagno) per estendere i propri domini su tutta la provincia Valeria. Gli abitanti di Forcona per sfuggire ai massacri cercarono rifugio sui monti vicini e ad essi si unirono ben presto, per evitare analoga sorte, gli abitanti di Aveia.
Anche sull'origine del nome le notizie sono incerte e frammentarie e quelle che riportiamo non sono altro che ipotesi elaborate dagli storici.
Per il Febonio, Rocca di Cambio sarebbe l'antico «Oppidum Frustena». Questa indicazione emergerebbe dalla tavola «Peutingeriana», così chiamata dal nome del tedesco Corrado Peutinger che, intorno al 1500 scoprì a Spira, in Germania, una tavola composta a Costantinopoli al tempo dell'Imperatore Teodosio. Su questa tavola, che indicava anche le strade di minore importanza dell'Impero, era riportato il tracciato di una traversa della Via Valeria. Un ramo di quest'ultima, toccando Amiternum, conduceva ad Aveia (Fossa) e passando per l'«Oppidum Frustena» proseguiva per Alba Fucens (Massa d'Albe), la città dei Marsi.
In un itinerario tracciato dall'Imperatore Antonino Pio, «Oppidum Frustena» è posto a metà strada tra Amiternum (S. Vittorino) ed Alba Fucens, a circa 18 miglia antiche da quest'ultima località. Tale zona corrisponderebbe, a parere di eminenti storici, al luogo dove ora sorge l'Abbazia di Santa Lucia. L'Altipiano delle Rocche (già Altipiano di Rocca di Mezzo o Altipiano Velino-Sirente) ha rappresentato sempre la via più breve per unire i territori dei Marsi e dei Vestini che abitavano la parte orientale della conca aquilana. La parte occidentale apparteneva invece ai Sabini.
L'origine degli abitanti di Rocca di Cambio si fa risalire ai Vestini. Secondo il geografo greco Strabone, i Vestini si allearono nel 429 con i Sanniti per combattere contro Roma. In quella guerra essi si rivelarono combattenti duri e coraggiosi.
Dall'Oppidum, che in latino significa Fortezza o Rocca e dal Monte Cagno che sovrasta il paese, sarebbe quindi derivato il nome «Rocca de Cagno» per alcuni e «Rocca de Cagnio» per altri. Con il trascorrere del tempo, e comunque abbastanza recentemente, si sarebbe trasformato in «Rocca di Cagno» prima e «Rocca di Cambio» dopo.
Secondo un'altra ipotesi il nome «Cambio» starebbe invece a significare un vero e proprio scambio, effettuato da un signorotto della Valle Subequana, tra la Rocca dell'Altipiano ed il Castello di Secinaro che si trovava più vicino ai suoi possedimenti.
Altri ancora fanno risalire il mutamento da «Cagno» in «Cambio» alla circostanza che, così come in molte altre località situate sulle vie di comunicazione, nel villaggio si trovava una stazione per il cambio dei cavalli.
La prima rimane comunque l'ipotesi più attendibile.
La storia di Rocca di Cambio è intessuta di una serie di fatti e vicende, di cui riporteremo i più interessanti e significativi, i cui riferimenti sono giunti a noi attraverso fonti diverse. Quello che gli storici affermano con una certa sicurezza è che il villaggio fu attaccato dai Saraceni i quali, tra gli anni 881 e 888 saccheggiarono Chiese e Monasteri, stuprarono le religiose e trucidarono monaci e preti. Proprio a causa di queste scorrerie, che insanguinarono tutta la Valle aquilana anche i monaci equiziani trovarono rifugio a «Rocca de Cagno».
Lo studioso Francesco Sabatini, nel volume «La Regione degli Altipiani maggiori dell'Abruzzo, scrive che le invasioni barbariche dei secoli V e VI e l'influenza dei grandi monasteri dei secoli VIII e IX sono sostanzialmente all'origine del popolamento delle zone montane. Il monachesimo fiorì infatti in tutta la provincia Valeria dove si trovavano tre Abbazie: una a S. Martino d'Ocre, una seconda a Rocca de Cagno e la terza a Rovere.
Altre notizie riferiscono che intorno all'anno 1000 (1178), il paese era indicato con il nome di «Rocca Ottonesca». Tale denominazione gli sarebbe stata attribuita in onore di Ottone II che si era fatto costruire un maniero alle pendici del Monte Cedico dove trascorreva i suoi soggiorni estivi e da cui partiva per frequenti battute di caccia.
Per alcuni il Monte Cedico starebbe ad indicare la località al di là del valico dei Cerri, sopra Fontavignone. Per altri, e in particolare per lo storico aquilano Cesare Rivera. il Monte Cedico altro non sarebbe che il Monte Rotondo e il Campo di Cedico l'attuale Campo Felice. Quest'ultima ipotesi sembrerebbe la più attendibile anche perché avvalorata dalla scoperta, in epoca recente di alcuni tratti di condutture in terracotta e dal ritrovamento di un pezzo di lancia o freccia.
Il castello di Rocca de Cagno fu edificato all'incirca alla stessa epoca di quello di Rocca di Mezzo su ordine dell'Imperatore svevo Corrado IV, figlio di Federico II, morto a Lavello (Potenza) nel 1254 avvelenato dal fratello Manfredi.
I due castelli furono eretti a protezione dell'Altipiano e come baluardo contro le mire espansionistiche della potente famiglia dei Frangipane, che risiedeva nel vicino castello di Rovere ed era acerrima nemica della Casa sveva.
Secondo i canoni strutturali quello di Rocca de Cagno non era comunque un vero e proprio castello ma, piuttosto, un luogo fortificato. La torre, presa a emblema del gonfalone, sorse come torre di vedetta e come torre di segnalazione. Poi, nel secolo XII, la Rocca fu munita. Fu costruito un alto muro di cinta, ancora parzialmente esistente e indicato come il «Muraglione».
Del portone resta memoria all'ingresso di via del Castello. Fiancheggia il Muraglione, dalla parte esterna, la via Anselmi che porta il nome della famiglia feudale che eseguì i lavori di fortificazione.
Dal 1254 anno di fondazione della città de L'Aquila, furono conferiti a Rocca de Cagno «intra ed extra civitatem» gli stessi diritti e doveri di tutti gli altri Castelli. Qualche storico afferma comunque che Rocca de Cagno non contribuì direttamente alla costruzione del Castello aquilano ma fu uno dei Castelli (in tutto furono 99) che si coalizzarono per dare vita alla nuova città che dagli stemmi imperiali sarà chiamata appunto Aquila.
Nel 1268 Rocca de Cagno si schierò con Carlo d'Angiò, figlio del re di Francia Luigi VIII e a sua volta di Napoli e di Sicilia. Carlo d'Angiò fu il protagonista delle battaglie di Benevento e di Tagliacozzo nelle quali sconfisse Manfredi e Corradino di Svevia.
Nel 1270 Rocca de Cagno viene assegnata in feudo a Pietro Alamano. Il 28 settembre 1294 Rocca de Cagno, su richiesta del Pontefice Celestino V veniva riunita al contado de L'Aquila con «amplissimo privilegio» di Carlo II d'Angiò, re di Sicilia fino al 1309.
Nel 1374 a conclusione di aspre lotte e lunghe contestazioni, furono fissati i primi confini tra il territorio di Rocca de Cagno e quello di Rocca di Mezzo. Per tale operazione la Regina di Napoli Giovanna I d'Angiò, salita al trono nel 1343, ordinò al capitano Tommaso degli Obizi da Lucca di controllare accuratamente i confini stessi e disegnarli sul terreno mediante termini lapidei. Il 23 luglio 1423 Andrea Fortebracci, un condottiero nativo di Perugia soprannomi nato «Braccio da Montone», nella sua lunga guerra contro Papa Martino V, in attesa di attaccare L'Aquila mise il campo a Rocca de Cagno che in soli due giorni gli si era arresa. Nel 1478 una violenta pestilenza fece molte vittime in tutto il contado aquilano. Anche Rocca de Cagno contò molti morti. Signore della Rocca era Pietro di Lamagna, un nobile del Regno di Napoli. Il 29 maggio 1496 il Duca di Amalfi Andrea Piccolomini e il Conte di Popoli entrarono con le loro truppe nel territorio aquilano e, superata la terra di Rocca di Mezzo, invasero Rocca de Cagno. Gli invasori, colti di sorpresa gli abitanti, razziarono «robe e pecore» e si impossessarono di gran parte dei beni. Uccisero quattro uomini, ne catturarono sette e incendiarono un'abitazione. Tra gli attaccanti c'era anche un gruppo di «usciti» aquilani che il 19 giugno dello stesso anno tornarono a Rocca di Cagno con l'intenzione di depredare e mettere a fuoco il paese, ma il piano fallì per la coraggiosa reazione degli abitanti.
Nel 1503 Rocca di Cagno fu occupato da Francesco Sanseverino, componente di una famiglia patrizia napoletana e da Girolamo Gaglioffi. I due avevano reclutato gli uomini più validi del contado aquilano e si erano attestati a Rocca di Cagno per impedire il passaggio a Fabrizio Colonna, capitano al servizio degli spagnoli, che si era accampato a Rocca di Mezzo in attesa di attaccare L'Aquila. Le loro truppe rimasero a Rocca di Cagno per otto giorni.
Nel 1533, sotto la dominazione spagnola, a Rocca di Cagno comandava un ufficiale di nome Gasparxcil. L'anno successivo, nella ripartizione del contado aquilano il paese fu assegnato all?Alfiere Pietro de lzism.
Il 30 novembre 1544 il barone di Medina, signore di Rocca di Cagno, fu assassinato insieme alla moglie e ad un nipote. I loro corpi furono tumulati nella Chiesa aquilana di Collemaggio.
Nel 1550 signore del Castello era Tristano d'Urrea d'Aragona. Nel 1556 il feudo ritornò ai Medina d'Urrea e precisamente a Maria Medina d'Urrea.
Alla signoria del ramo aragonese risale una curiosità storica che successivamente costituirà il canovaccio di una grande rappresentazione in costume dell'epoca: l'elezione del signore di Carnevale divenuta successivamente carnevale morto. Di ciò si fa menzione in antichi documenti riguardanti gli avvenimenti del 1556. L'usanza di eleggere il «Signore di Carnevale», ebbe fine (verso i primi dell?800) poiché le manifestazioni si svolgevano in Chiesa ed il Vicario de L'Aquila l'ebbe per trasgressione del precetto divino» e le proibì non senza aver condannato a torti pene pecuniarie i Massari ed i Procuratori della Chiesa.
Personaggio centrale della festa era un uomo dotato di spiccate doti sceniche, mimiche e comiche beffardo e insolente, portato su una barella, in processione, per le viuzze del paese, da un gruppo di scalmanati. A ogni porta leggeva il testamento e lasciava qualche cosa: «Scrive signor Notaio, lascio a.
Suonando e ballando si arrivava alla piazza dove «Carnevale» esprimeva le ultime volontà che erano fatte di battute scherzose, di doppi sensi, di denunce, di irrisioni infarcite di parole licenziose e scurrili. Dopo la lettura, che si protraeva fino a notte, «Carnevale» veniva giustiziato dando fuoco al fantoccio di paglia che lo rappresentava. Il suo funerale era il momento culminante del baccano e del divertimento popolare. Questa usanza viene riproposta ogni anno l'ultimo giorno di Carnevale. In processione, con le vedove di «Carnevale» che piangono e strillano, con il prete che benedice tutti, con il notaio che scrive nel testamento ciò che «Carnevale» lascia a ogni famiglia. In una cesta si raccolgono le offerte delle famiglie: uova, salsicce, soldi, bottiglie di vino e di liquori, che vengono utilizzati per una mangiata tra amici.
Molti riconnettono tale festa ai «saturnali» romani. In ogni caso essa fu certamente importata, al tempo della dominazione spagnola, da soldati ed avventurieri che l'avevano vissuta altrove e non volevano rinunciare a un'occasione di baldoria.
Dopo questo breve excursus folkloristico riprendiamo la rassegna delle vicende storiche di Rocca di Cagno.
Nel 1574 il Castello apparteneva al Barone Antonelli de L'Aquila che ne disputò a lungo il possesso con la famiglia De Santis di Ocre.
La Rocca appartenne pure a Pompeo Colonna ed ai Barberini.
Verso la fine del '500, con il consenso del Re dì Napoli, le Università di Rocca di Cagno e di Lucori misero in comune le selve e le acque.
Nel frattempo il paese si sviluppava, seppur molto lentamente. Nel 1501 la popolazione venne tassata per 102 fuochi (famiglie), nel 1545 per 112, nel 1561 per 138, e così pure nel 1595, nel 1648 ancora per 138 e fino al 1877 anno in cui la popolazione era arrivata a 678 abitanti. L'Aquila contava 7498 abitanti.
Nella seconda metà del secolo 1600 gli ultimi pastori abbandonarono il villaggio sorto intorno a Santa Lucia e si trasferirono nella Rocca alla ricerca di una maggiore protezione. I seguaci di Masaniello sbandatisi per il regno, erano infatti arrivati anche sull'Altipiano e si erano annidati nei boschi da dove partivano per compiere ogni sorta di scorreria.
Nel 1663 Maffeo Barberini offrì al Re di Spagna la possibilità di acquistare lo stato di Pompeo Colonna, principe di Gallicano, che comprendeva anche la terra di Rocca di Cagno.
NeI 1683 il Marchese del Carpio Gaspar de Haro, Viceré di Napoli, fece dare alle fiamme gran parte dei boschi dell'Altipiano per snidare i briganti che vi si erano nascosti. Il brigantaggio era un piaghe delle nostre terre. Nei boschi e nelle montagne trovarono rifugio malviventi che si macchiarono di gravi misfatti. Nei documenti dell'Ottocento vengono riportati i nomi dei briganti Bucci, Sciaboloni, Vampa e Gasparone.
Nel 1703 Rocca di Cagno subì gravissimi danni e lamentò numerosi morti a causa del violento moto che distrusse interamente la città de L'Aquila.
Nel 1798 scoppiò una insurrezione contro i francesi. Capo della rivolta fu un certo Antonio D'Antonio di Rocca di Cagno.
Sul finire del 1700 gli abitanti di Rocca di Cagno erano particolarmente apprezzati nell'arte della lavorazione della lana che esercitavano soprattutto nella provincia di Foggia che raggiungevano, al tempo della transumanza, seguendo i «tratturi», sentieri di montagna larghi circa tre metri, utilizzati per il transito delle pecore che dall'Abruzzo venivano trasferite nelle Puglie.
Da questo periodo, quindi verso i primi anni dell'ottocento, il paese cominciò ad essere indicato con la nuova denominazione di Rocca di Cambio.
Le greggi del territorio di Rocca di Cambio, si parla di circa 10.000 capi, percorrevano il tratturo Celano-Foggia che nasceva da Alba Fucens. Molto spesso veniva utilizzato anche il tratturo regio o magno che collegava L'Aquila alla Piana di Navelli per poi suddividersi in due tronconi: uno andava verso Popoli e l'altro verso Bussi.
Quello della transumanza era un fenomeno antichissimo risalente almeno all'epoca sannitica. Nel secolo XIX il paese fu coinvolto nei moti insurrezionali.
Nel 1849 Rocca di Cambio si staccò dal Comune di Rocca di Mezzo costituendosi in Comune autonomo.
I piemontesi arrivarono alle Rocche verso la fine dell'ottobre del 1860. La prima reazione fu improntata a preoccupazione e nervosismo, tanto che buona parte della popolazione si diede alla fuga. Si racconta che un benestante del luogo, un certo Ottaviani, per il terrore scappò scalzo per i campi. Nel 1894 Rocca di Cambio cessò di far parte per tutti gli effetti giudiziari e amministrativi del Mandamento di San Demetrio e fu aggregato a quello de L'Aquila.
Agli inizi del 1900 il paese contava 950 abitanti, dediti in gran parte all'agricoltura. Spesso partivano per andare a coltivare la campagna romana, capuana e quella maremmana, ma vi erano anche artigiani come i ferraioli e i falegnami.
Si coltivavano: lino, canapa, fagioli, patate, grano, orzo, mais, lenticchie, ceci, piselli, segale e girasole. Tra i signori di Rocca di Cambio furono anche i conti Cane di Magonza, di stirpe tedesca, il cui stemma sormonta ancora alcuni antichi portoni, dei quali non abbiamo trovato notizie particolareggiate ed esaurienti.
Il paese vanta anche visitatori illustri. Si deve ricordare San Bernardino da Siena. Una tradizione popolare vuole che il Santo, varcata Trio, località a circa quattro chilometri da Rocca di Cambio, alla vista della città de L'Aquila si sia inginocchiato su una grande pietra lasciandovi l'impronta del ginocchia. Tale località è ancora oggi indicata con il nome di «Pietra di San Bernardino». Su quella pietra, che segnava il confine tra l'Abbazia di San Martino d'Ocre e di quella di Santa Lucia, fino a qualche anno fa si potevano ancora notare impresse le lettere a caratteri maiuscoli « O.S.B.C.» ossia Ordo Sancii Benedicti Cistercensis.
Il paese vanta anche di aver ospitato San Giovanni Battista de Rossi e San Leonardo de Porto Maurizio.
E arriviamo così ai tempi a noi più vicini. Il XX secolo è stato purtroppo caratterizzato dagli atroci conflitti mondiali che hanno visto i «rocchicagnesi» impegnati su tutti i fronti: dai ragazzi del 99 che combatterono sul Grappa e sul Piave, ai tanti giovani impegnati in Africa Orientale, in Albania, in Grecia, in Spagna e Russia e ai tanti internati nei campi di prigionia in Germania, Kenia, Inghilterra Russia da dove alcuni non fecero più ritorno.
Durante l'ultimo conflitto mondiale Rocca di Cambio non subì bombardamenti come invece accadde per la vicina Rocca di Mezzo. In paese c'erano all'incirca 200 tedeschi che erano arrivati nel settembre del '43 e che avevano fissato il loro comando presso la casa dei Mancini ed occupavano anche casa di zì Bernardino e quella del giudice Fiore. Non si ebbero particolari problemi se non quale inconveniente per una pistola rubata ad uno di essi e per una pistola trovata addosso ad un nostro compaesano. Quest'ultimo rischiò la fucilazione ma fu salvato dai rocchicagnesi che, in cambio della liberazione del prigioniero, portarono ai militari tedeschi prosciutti e formaggi e tante altre vettovaglie. Il lutto più grave si ebbe invece con l'arrivo di alcuni prigionieri, per la maggior parte di nazionalità sudafricana, fuggiti da un campo di concentramento de L'Aquila. Furono ospitati da diverse famiglie che li rifocillarono e li nascosero nei fienili delle loro stalle. Alcuni furono scoperti e, per ritorsione, i tedeschi incendiarono due case e due stalle tra cui quella di mio nonno Pio. I militari lasciarono Rocca di Cambio nel giugno del 1944.
L'economia di Rocca di Cambio è sempre stata segnata da una estrema ristrettezza di risorse e prospettive. La montagna offre ben poco. Agricoltura e zootecnia hanno permesso a molti di tirare avanti ma con magri bilanci. In passato i più andavano a «Maremma» in cerca di occupazione. L'emigrazione in Italia e poi anche all'estero ha costituito una inevitabile valvola di sfogo e una dolorosa necessità. Lo sviluppo impresso alle attività turistiche e in generale a quelle del tempo libero come la creazione del centro sciistico di Campo Felice, costituiscono un esempio concreto della strada da battere ma soprattutto da sviluppare e stimolare per mantenere i «rocchicagnesi» nella loro terra offrendo concrete prospettive di vita e di crescita sociale e civile. Ma l'esodo, anche se rallentato, prosegue. Il censimento del 1991 ha fatto registrare un nuovo record storico negativo di 446 persone residenti (215 famiglie) quando si pensi che nel 1951 i residenti erano la bellezza di 950. Questo dovrebbe suonare come campanello d'allarme e come severo monito. Infatti, se nei prossimi anni non saranno individuate soluzioni idonee che garantiscano adeguati ritorni di carattere economico, come avvenuto in tante altre località italiane, sarà a rischio l'esistenza stessa del Comune di Rocca di Cambio, il più alto di tutto l'Appennino.
Accesso libero su strada asfaltata
Pagina aggiornata il 30/08/2024